Giorgio non ha mai lavorato nelle fabbriche di mattoni. Eppure la sua storia parte tutta da lì.

Lo conosciamo la nostra prima sera a Bedford, e sarà poi la nostra guida. È un vecchietto arzillo, settant’anni portati bene, che parla con la pacatezza di un uomo del sud. Sorride molto. Ci accoglie a casa sua, e ci mostra il salone ampio, il garage e il giardino lungo e ben tenuto, che va fino al patio che ha sul fiume. Lo fa con orgoglio, come se avesse costruito con le sue mani ogni stanza, ogni sedia, ogni soprammobile.

Ci versa un bicchiere di vino, e racconta, di storie d’amore, di lavoro, di comunità. Di come suo padre sia arrivato con le altre migliaia di italiani a Bedford.

All’inizio degli anni ’50, a Petrella Tifernina non c’è lavoro. Il padre di Giorgio decide di emigrare. Si rivolge all’ufficio di collocamento più vicino: capita il Regno Unito, Bedford, e il padre di Giorgio parte. Lo vede salire su un treno diretto a nord e non sa quando lo rivedrà.

Il figlio pascola le pecore e impara a fare il barbiere e il sarto, ogni tanto riceve una lettera dal padre. Di lui sa solo che “sforna mattoni”. Nel 1958 sono passati abbastanza anni per poter portare la propria famiglia con sé, e il padre di Giorgio chiama il figlio e la moglie a Bedford. Giorgio si rende conto di cosa volesse dire ‘sfornare mattoni. Nel salone ampio e buio, Giorgio ci racconta di come il padre lavorasse a petto nudo, dovendosi fermare ogni tanto per sgretolare la melma di sudore e polvere di mattoni che si depositava sulle sue spalle. Quando tornava a casa, dagli stivali tirava fuori piedi sporchi di fango e sangue.

Giorgio racconta tutto questo con grande serietà. Ha una forte consapevolezza dei sacrifici dei suoi genitori e questo lo colpisce molto. Ogni volta che ne parla, sembra che abbia in mente un debito che vorrebbe, ma non può ripagare.

Non ci racconta ancora la sua storia, ma preferisce portarci in giro con la sua splendida Rolls-Royce vintage per i luoghi che secondo lui rappresentano di più la comunità italiana: l’ex Little Italy di Midland Road, lo stadio dove correva con i suoi amici, l’officina del suo amico Lorenzo, o meglio Lawrence, Coladangelo. Negli anni ’70 andava a lavoro con un motorino Bianchi sotto alla pioggia, ora ha una Testarossa vintage tra i quattro giganteschi capannoni della sua impresa. La Rolls di Giorgio passa anche davanti agli ex campi di prigionia, poi ostelli per gli operai, ora stalle sperse nella campagna inglese. Alla fine, ci fermiamo di fronte ai luoghi più iconici: i club italiani.

 


 


Infine, Giorgio inizia a raccontarci la sua storia. Ci parla delle prime discussioni con suo padre, alla fine degli anni ’60: lui voleva che andasse in fabbrica come tanti, mentre Giorgio voleva aprirsi un negozio come barbiere. È convincente Giorgio, e non solo persuade il padre a prestargli dei soldi, ma anche lo zio e due banchieri che non lo avevano mai visto prima. Il negozio ha successo e, per curiosità, un giorno va ad una fiera campionaria a Milano. Vede macchinari all’avanguardia, che non si trovano in Inghilterra, e si propone di fare da rappresentante; anche là ha così tanto successo che iniziano a portarlo in giro per fiere, gli fanno scrivere articoli, nonostante la sua terza media scarsa, e gli organizzano dimostrazioni in Europa per i mille differenti prodotti che riesce a vendere. Inclusa una in Russia, dove una collega gli chiede se può intrattenere un’amica, russa, che quella sera si trova a Mosca ma è sola. La aspetta all’ingresso di un ristorante di lusso, minuscolo rispetto ai due ussari che stanno lì, come a fare la guardia. Lei è bella, occhi chiari e capelli scuri. La prima rivelazione che gli farà quella sera sarà che lei non si è sposata perché vuole un uomo bello e, soprattutto, alto. Lui le risponderà che anche lui non si è sposato, perché cerca una ragazza brava ed italiana. Dopo pochi mesi Giorgio, forse una testa più basso di lei, riesce nel difficile compito di portarla in braccio, appena sposati, nella loro nuova, grande casa di Bedford. Uno dei momenti in cui Giorgio, e in fondo la comunità italiana stessa, avevano realizzato che qualcosa era cambiato.

La Rolls di Giorgio ci riporta infine alla stazione. Ci saluta mentre il treno ci conduce verso sud; non passiamo però di fronte alla stazione di Stewartby, costruita appositamente per la fabbrica e dove ormai pochi treni fermano. Dopo anni di abbandono, le stanze della famiglia del capostazione, le sale dove si affollavano gli operai e le operaie italiani in attesa del treno sono ora una sala da tè, tutta rosa e pizzi.

 

— Foto: la comunità locale in un matrimonio anglo-italiano in Bedford.

 


 


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